I tragici fatti della funivia del Mottarone disegnano un
Paese che, da sempre, ha vissuto sulla bugia, sulla reticenza,
sull’insabbiamento ed il depistaggio delle prove e scaricare su quelli più
“fessi” colpe dei potenti, degli amici dei potenti o più semplicemente , dei
ricchi.
Le “famose” forchette inserite nel sistema frenante della
funivia hanno avuto il solo scopo di far risparmiare sulle indispensabili
manutenzioni e fare aumentare i profitti. Oggi veniamo a sapere che, quella pratica,
veniva adottata già da alcuni anni. Cadono quindi tutte le motivazioni legate
alla “dimenticanza” o dalla “disattenzione”.
Fare delle manutenzioni risolutive al problema,
evidentemente costano, e rischiare fermate dell’impianto con conseguente “salvataggio” degli avventori , non solo hanno
un costo ma pubblicizzano negativamente l’impianto. Quindi,
necessariamente, l’impianto DEVE sempre funzionare !
La pratica adottata, “i loro profitti valgono più delle nostre
vite“ è una consuetudine nel nostro Paese. Ogni anno nei luoghi di lavoro,
muoiono migliaia di persone solo per risparmiare danaro sulla sicurezza e
sull’addestramento. Non si contano più, i ponti Morandi, le alluvioni e
l’assoluta assenza di attenzione verso un territorio fragile.
Porto una testimonianza diretta.
Fui assunto nel 1974 presso una società di Magenta, Novaceta
SpA ( gruppo Snia Viscosa ) , e per oltre 20 anni , all’interno dell’azienda,
ho avuto l’incarico di responsabile dei servizi elettrici e della centrale
termoelettrica. Quest’ultima aveva
impianti vecchi, ereditati dalla Snia Viscosa, che avevano bisogno di essere
messi in sicurezza. Le mie continue segnalazioni e richieste di adeguamenti
impianti alle norme di sicurezza hanno avuto come risultato la mia rimozione
dall’incarico , nel 2001, ed il successivo licenziamento ( mobilità non
richiesta ) nel 2005. In questi quattro anni , da rappresentante sindacale come
RSU ed RLS ( Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza ) ho avuto modo, di
intervenire con la stessa determinazione, su tutte quelle situazioni che
ritenevo pericolose per la salute e la sicurezza dei Lavoratori e , come
vedremo, anche per gli ignari Cittadini le cui abitazioni erano poste a ridosso
dello stabilimento.
Potrei citare decine di segnalazioni, ma in particolare
riporto alla Vostra attenzione un fatto, gravissimo, dal punto di vista etico,
professionale e della sicurezza.
Come rappresentante della Sicurezza, avevo il dovere di
effettuare controlli in ogni reparto. In centrale termoelettrica, che conoscevo
in ogni dettaglio, poi, l’attenzione verso gli impianti deve essere più
incisiva, diretta e professionale.
Caldaie che producevano vapore surriscaldato ad una pressione di oltre
45 bar ed a una temperatura di 450 °C , alimentate con circa 2000 m3/h di
metano, erano certamente delle potenziali super-bombe.
Ero già stato allontanato dalla direzione ma, come rappresentante della sicurezza, durante un’ispezione, rilevo che una macchina, denominata
TURBOPOMPA era “fredda” e, quindi, fuori servizio. Il turbopompa ha la funzione,
durante un blackout di energia elettrica, di alimentare, con acqua, il
generatore di vapore le cui tubazioni tappezzano la camera di combustione in cui la temperatura è di qualche migliaia di gradi. Il Turbopompa funziona
tramite l’energia del vapore continuamente prodotto dalla caldaia e alimenta,
con acqua, lo stesso generatore che continuerà a produrre vapore fino a quando perderà
progressivamente entalpìa ( pressione e temperatura ) e fino a raggiungere le soglie
di sicurezza imposte.
Il turbopompa, in condizioni di normale esercizio degli
impianti di centrale, deve essere mantenuto caldo, tramite uno spillamento di
vapore surriscaldato, alla stessa temperatura del vapore che la caldaia sta
producendo. Una macchina rotante, come la turbina del “turbopompa” non potrebbe
mai entrare in servizio da fredda. Un improvviso
getto di vapore a 450 °C sulle pale della turbina ( se tenuta fredda )
provocherebbe l’immediata rottura della struttura, ne, in caso di bisogno, si
potrebbe pensare ad un riscaldamento progressivo che richiederebbe moltissimo
tempo generando , per mancanza d’acqua, lo scoppio della caldaia con
conseguenze disastrose per lo stabilimento e per la stessa comunità cittadina.
A seguito della mia ispezione e del successivo verbale, mi
viene recapitato il documento che vi allego :
“turbopompa -La macchina era fredda ma NON era in stato
di fuori servizio“, tale documento (assurdo tecnico) è firmato da sette
operai di centrale, ma da nessun dirigente aziendale ne dal responsabile per la
sicurezza nominato dall’azienda, ne dal capo manutenzione, ne dal se-dicente
capo centrale, ne da altri due impiegati sempre proni a 90 gradi ! Firmano solo gli operai, ovviamente minacciati
di ritorsione. Gli ispiratori di quel documento furono il direttore di
stabilimento ( già coinvolto in altri fatti inerenti la salute pubblica e
sanzionato dalla Guardia di Finanza per aver inquinato, a Magenta, una cisterna contenente
olio combustibile BTZ, con olio ATZ proveniente, illegalmente, da un altro sito
dismesso ) , e l’ingegnere addetto alla sicurezza aziendale, succube del primo.
Oggi, il primo in pensione ed il secondo , che lavora in proprio, offrendo
servizi aziendali !!!!! ( sigh ! )
(Gradirei che esperti del settore si esprimessero, con una
valutazione tecnica, in merito alle mie affermazioni ).
Infine, per quale motivo, il turbopompa veniva mantenuto
freddo ?
La centrale termoelettrica in oggetto era in servizio
continuo 24 h / 24 h per 345 giorni anno ( tranne venti giorni ad agosto per
fermata impianti produttivi ). Il turbopompa, per restare in temperatura e
quindi entrare automaticamente ed istantaneamente in servizio, aveva bisogno di
essere alimentato in continuo con vapore surriscaldato ( qualche tonnellata /
ora ) per 345 giorni all’anno e per 24h/24h. Tali condizioni richiedevano costi
importanti che, invece, venivano “risparmiati” proprio a discapito della
sicurezza.
Come finisce la storia, al di là di un paio di gravi
incidenti in centrale che, con quei personaggi c’era da aspettarselo, Novaceta
S.p.A. ( azienda che fatturava oltre 80 milioni di euro/anno ) chiude i
battenti nel giugno del 2009 lasciando nella disperazione 200 famiglie. Il
sottoscritto ( già licenziato nel 2005 ) raccoglie 98 adesioni tra i dipendenti
e denuncia l’azienda per aver chiuso senza apparenti motivazioni di crisi. Nel
febbraio 2019 vengono condannati , in primo grado, diciotto manager per
bancarotta ( distrazione di circa 70 milioni di euro ) per complessivi 180 anni di carcere. Tra i
condannati figure di primo piano nel campo dell’imprenditoria nazionale che non
faranno mai un giorno di carcere, ed , aspettando la prescrizione, non
pagheranno un centesimo di euro. I lavoratori accettati dal Tribunale come
Parte Civile attendono ancora i risarcimenti .
Morale della “favola” : per i fatti della funivia del
Mottarone non aspettiamoci che qualche “furbo” manager risponda per palesi
colpe, ma aspettiamoci che a qualche “fesso” operaio vengano addossate ogni
colpa.
Sentenziava il grande Eduardo : “ al mondo si starà bene
quando moriranno tutti i furbi e resteranno solo i fessi !