sabato 30 agosto 2014

Pubblico parco e privato degrado, oppure degrado pubblico e parco privato ?

E’ un interrogativo sempre più pressante che si presenta  a mano a mano che trascorrono i giorni da quando un gruppo di volontari ha deciso di trascorrere le ferie per pulire, a proprie spese, un pezzo di Città.
E’ un interrogativo che ci poniamo anche perché, chi amministra la Città di Magenta, ad oggi, non si è fatto nemmeno sentire. E’ un fatto sconcertante , poiché, o “parco pubblico “ o “ degrado pubblico” , qualcosa di “pubblico” c’è, e “qualcosa di pubblico” , fino a prova contraria, è di competenza della pubblica amministrazione.

E’ ancora più sconcertante, l’assenza della pubblica amministrazione, poiché, nella gran parte dei componenti la Giunta ed il Consiglio, si identificano persone che si sono sempre dichiarate attente al sociale, chi per convinzione ideologica ( e condividiamo ) , chi per trascorsi lustri nelle magentine parrocchie.

Allora vogliamo immaginare che “le istituzioni” vorrebbero condividere il fine sociale dell’azione che il Movimento Popolare Dignità e Lavoro sta conducendo, ma non possono “istituzionalmente” poiché, così facendo, avvallerebbero un reato ( pseudo ) che è quello dell’inviolabilità della proprietà privata.

Dunque ci tocca fare chiarezza e cerare di fugare qualche dubbio a chi la pensa come l’amministrazione :

  1. le persone che il giorno 20 agosto alle ore 9.00 sono entrate nell’area da bonificare, hanno trovato una porta chiusa con tanto di catena e lucchetto. Queste persone hanno bussato a quella porta ed è stato loro aperto.
  2. lo spettacolo presentato agli occhi delle oltre trenta persone che hanno varcato la porta in oggetto è stato di un disgusto immane. Montagne di sporcizia, rovi alti due metri, alberi con decine di rami secchi, pericolosissimi, che si affacciavano sulla pista ciclabile, piantagioni di ambrosia, coltivazioni di marijuana, topi morti ed escrementi di topi, decine di profilattici all’interno del campo da tennis. Questo spettacolo è stato innanzitutto documentato ed è stato posto immediatamente all’attenzione della stampa e della Polizia di Stato ( Digos ) , soggetti, questi, avvertiti in tempo reale, dai volontari, per certificare che non c’è stata alcuna forzatura di porte e strutture chiuse, per dimostrare che l’area era di fatto già occupata da altri e che immane era lo stato di degrado.
  3. i volontari non sono entrati nelle aree per occuparle o viverci o prendere qualcosa. Sono entrati in quelle aree per dare qualcosa, anzi per Ri-dare qualcosa che è sempre stato della Città, un parco pubblico !
  4. i volontari, semplici cittadini (del territorio), che formano il gruppo del Movimento Popolare Dignità e Lavoro, hanno tutti , per fortuna, già una casa, e non sentono il bisogno di elevare a proprio domicilio quello di viale Piemonte.

Dicevamo, dunque, di non comprendere il silenzio della pubblica amministrazione, anche perché questa, nelle vari sedi di competenza, era già a conoscenza che quelle aree erano occupate , ma direi più esattamente , “abitate” da una coppia di persone. E’ lo stesso vice-sindaco Razzano che dichiara su “Settegiorni” del 29 agosto u.s., rivolgendosi a Simone Gelli :” irresponsabile e ignorante…se si informassero saprebbero che i due cittadini sono stati presi in cura dai servizi sociali del Comune”,
dunque, da questa dichiarazione, è certo che le due persone “domiciliate” in viale Piemonte, sono conosciute e identificate dal Comune da molto tempo. Al di là della domanda logica che il normale Cittadino si pone :” ma a costoro è mai stato chiesto dove abitassero ? “, noi ci siamo rivolti direttamente agli interessati per sapere cosa sapessero, di loro, i servizi sociali ed il Comune di Magenta. Queste persone hanno dichiarato di aver informato le autorità di vivere nelle aree del Cral ed addirittura, una volta, è capitato di essere stati accompagnati, fino al “privato” ( o pubblico ) domicilio dalla Polizia Locale !
Adesso si capisce il silenzio dell’amministrazione comunale. Non solo ha  permesso che queste persone vivessero nel più assoluto degrado, ma ha accettato che si rendessero invisibili per non disturbare chi avrebbe dovuto interessarsi a loro.

Responsabilità non assunta nemmeno nei confronti di quella situazione gravissima, per mancanza di qualsiasi forma di manutenzione e controllo, che la proprietà dell’area Cral aveva generato. Ma a chi toccava controllare, ad esempio lungo la pubblica pista ciclabile, che all’interno di quell’area i rovi ed i rami secchi erano potenziali pericolo di vasto incendio ? Chi doveva avvertire chi, che parte della recinsione in rete metallica era stata abbattuta e che l’area era preda di ogni abbordaggio da parte di malintenzionati ?
Se fossero stati effettuati i minimi controlli, esterni, ad una vasta area insediata sul territorio comunale, forse sarebbe stato utile chiamare la proprietà e “scoprire” la giacenza di piante di ambrosia oppure  delle coltivazioni di marijuana. Forse si poteva intervenire di ufficio ed intimare alla proprietà di porre fine al degrado. Tutto questo non è stato fatto. Ancora una volta, come per la questione amianto, sono dovuti intervenire i Cittadini, con atti concreti , a porre fine al degrado e muovere l’inerzia altrui.

Il Movimento Popolare Dignità e Lavoro, si è dovuto inoltre interessare anche dei gravi abusi che la proprietà ( o chi per essa ) ha commesso e continua a commettere in materia di sicurezza sul lavoro. Abbiamo scoperto, ed immediatamente denunciato alle autorità competenti, che , ad esempio ai lavoratori addetti alla sorveglianza delle aree industriali, non era concesso l’uso dell’acqua corrente e dell’acqua potabile, nel senso che , chissà da quanto tempo, le guardie giurate erano costrette ad espletare i bisogni fisiologici in latrine disseminate nell’area industriale e senza l’uso di acqua ! Inoltre mancava  acqua nei vasconi antincendio e l’energia elettrica necessaria a muovere le pompe. Una situazione da veri irresponsabili ed incoscienti !

Da queste situazioni e dalla proprietà, l’amministrazione comunale non prende le distanze, non fa, come potrebbe e dovrebbe, intimare ed applicare sanzioni ( un dirigente faceva presente che il “fuoco” degli avvocati Unicredit poteva fare molto male ! )  , prende invece le distanze dal nostro Movimento, da quegli uomini e donne che stanno spendendo le ore libere per cancellare un degrado vergognoso, ma ciò che è inaccettabile è disinteressarsi anche di circa 1500 Cittadini che chiedono di Ri-dare alla Città dignità e decoro, anche attraverso il Ri-cupero dell’area Cral ed al Ri-pristino di un Parco Pubblico !


M. De Luca

mercoledì 27 agosto 2014

Il Governo italiano dalla primavera all'autunno

di
Lidia Cirillo

Che le apparenze non ingannino. Le cose avvenute in Senato nei mesi estivi meritano un po’ di attenzione, anche da parte di chi di solito non gliene dedica alcuna. E’ vero che la rumorosa tenzone tra partiti, con i suoi 8.000 emendamenti, può essere ridotta a una serie di ricatti reciproci in vista del voto sulla legge elettorale e di altre poste in gioco prossime venture. Berlusconi per esempio pone il veto sulle preferenze nel timore di perdere il controllo su Forza Italia, mentre il Ncd aspira invece a reintrodurle perché ha un elettorato composto di clientele personali. Il PD insiste sul doppio turno, che ad avviso dei suoi pensatori dovrebbe favorirlo. I piccoli partiti si ritengono inguaiati dall’enorme soglia di voti minimi e così via con altre poco interessanti e poco edificanti beghe corporative. La battaglia estiva è stata inoltre anche rivolta attraverso i media al popolo elettore per enfatizzare l’opposizione a un governo e a una leadership che si troveranno presto in difficoltà e in previsione di possibili e già previste scadenze elettorali.
E’ vero anche che alcuni organi di stampa hanno avuto gioco facile a sbeffeggiare comportamenti e linguaggi degli ultimi senatori eletti della repubblica: il bestiario con i gufi, sciacalli e canguri entrati nel lessico politichese degli ultimi mesi; i neologismi, come il “discussionismo” coniato da Renzi, che talvolta somiglia davvero all’imitazione che ne fa il comico Crozza; le palline di carta lanciate in aula, come in una classe di scuola media inferiore in libertà. Di tutti i segni di un mondo che vive di logiche e di linguaggi solo propri, vale la pena di sottolinearne uno soltanto. In uno degli ultimi giorni di luglio i parlamentari di opposizione hanno manifestato sotto il Quirinale in solitudine e senza alcun tentativo di coinvolgere porzioni anche modeste di opinione pubblica. Con la consapevolezza forse che il tentativo sarebbe stato vano e comunque a evidente dimostrazione che essi stessi si percepiscono per ciò che sono, una corporazione in lotta per se stessa. Ma appunto, che le apparenze non ingannino. Sia pure con contraddizioni e lentezze, con una consapevolezza solo parziale e in un clima che si presta alla più facile ironia, i senatori hanno svolto una parte non irrilevante dei compiti a casa assegnati da chi davvero comanda e decide.
La soppressione del Senato nel cambio delle regole del gioco
Prima di tutto: Renzi è oppure non è il protagonista di una svolta autoritaria? Se si sostituisce il termine “svolta” con un altro più adeguato e che non dia l’impressione di un cambio improvviso di direzione, allora certo che siamo di fronte a un’operazione di accentramento del potere politico e quindi obiettivamente autoritaria. Il presidente del Consiglio e la sua équipe tentano di portare a compimento una dinamica già in atto da tempo, innescata dalla crisi dei partiti di massa, e che consiste in una modifica delle forme di dominio del capitale. 
Tutta una serie di osservazioni fatte sulle vicende istituzionali negli ultimi mesi (Zagrebelsky, Diamanti, Ferrara ecc.) sono appropriate e possono essere riprese. Si è fatto notare il paradosso antidemocratico di un parlamento eletto incostituzionalmente che mette mano addirittura a una modifica della Costituzione. Oppure l’atteggiamento e il linguaggio del leader con i suoi “asfalteremo” e “decido io”. Si è criticato il passo di marcia con cui è stata condotta la soppressione del bicameralismo paritario, il cui obiettivo è evidentemente quello di ridurre la possibilità del parlamento di ostacolare gli esecutivi.
Guido Crainz in un numero di Repubblica di fine luglio ha ricordato come fosse stata la DC a insistere sul bicameralismo, quando paventava rapporti di forza elettorali favorevoli alle sinistre. E come, dopo la vittoria del 18 aprile, si fosse invece ben guardata dall’attuare gli organismi di garanzia previsti, a partire dalla Corte costituzionale, richiesta con insistenza dalla sinistra. Per altro l’attuale governo appare già dalla sua nascita come l’adattamento a quelle dinamiche di cambiamento delle forme del dominio di cui si diceva prima. Personalizzazione della politica, imitazione del leader carismatico, tendenza alla presidenzializzazione, accentramento di poteri, insofferenza verso la discussione, maschera dell’antipolitica, logiche plebiscitarie, pressioni per asservire ulteriormente l’informazione…
Seconda domanda: in quale misura questo ha a che fare con le relazioni sociali? In questo suo completo abbandono alla corrente Renzi è l’esecutore degli ordini espliciti e impliciti di una parte del corpo sociale. Dell’1 per cento? Del 5 o del 10 per cento? Certo di una piccola parte, ma di una parte effettiva di società e solo per questo le maggioranze possono continuare ad agire pro domo propria. Quando Draghi si lamenta perché la riforma dello Stato monopolizza la politica italiana e rimanda quindi i tagli di spesa promessi da tempo, fa semplicemente il suo mestiere, cioè batte l’asino che già corre nella direzione desiderata perché acceleri il passo. L’Unione europea ha infatti più volte redarguito i politici italiani per quelli che ritiene problemi irrisolti di esercizio del governo nelle sue modalità e negli aspetti strutturali, funzionali e strumentali del governare. Il che significa in parole povere che il frustino della troika e le sue briglie indirizzano nello stesso tempo verso gli aggiustamenti economici e politici, ritenendoli a giusta ragione complementari e inseparabili.
E infine: quanto vale in moneta contante una battaglia di difesa delle logiche di democrazia parlamentare, del bicameralismo, dell’attenzione ai contrappesi e dello spirito e delle intenzioni sul tema di padri e madri costituenti? Ora, intendiamoci, chi per fortuna o disgrazia ha una presenza in parlamento non può sottrarsi alle forme specifiche di un’opposizione al suo interno. E le poche e isolate preoccupazioni reali per la democrazia non hanno potuto sottrarsi nemmeno in questa occasione. Se non altro come denuncia e purché non si siano illuse che ci fosse davvero qualcosa da difendere. Che si provi qualcuno a teorizzare la funzione democratica del Senato, luogo istituzionale in cui sono passate le peggiori porcate berlusconiane, a cominciare dalla compravendita degli eletti.

La crisi e il Medio Oriente come metafora
Mentre il presidente del Consiglio si preparava a passare sotto l’arco di trionfo per essere riuscito a suicidare il Senato, è giunta la notizia che tutte le previsioni di crescita per l’Italia erano sballate. Il Pil è in netto calo e le previsioni di crescita dello 0,8 per cento di primavera appaiono già in estate fuori dal mondo. L’illusione di una ripresa modesta ma a portata di mano non riguarda solo l’Italia, la stessa logica vale per l’eurozona nel suo complesso, sia pure in modo al suo interno differenziato. L’annuncio di una ripresa che non c’è stata e l’attribuzione della responsabilità ora all’Ucraina ora al Medio Oriente hanno a che fare con l’ideologia. Lo sanno ormai anche i gatti, lo dice ormai anche chi poi dal governo la applica che l’austerità deprime e che l’equivalenza conti in ordine/ripresa dell’economia è una balla. La deflazione inoltre è destinata ad aggravare la situazione, perché innesca la spirale per cui a un calo dei prezzi seguono la minore liquidità, le difficoltà maggiori delle aziende e l’aumento della disoccupazione, la minore spesa, l’eccesso di produzione e un nuovo calo dei prezzi. Come poi ha spiegato chiaramente Marco Bertorello sul Manifesto, la deflazione aggrava il peso dei debiti e il debito italiano è già passato in un paio d’anni dal 120 al 135 per cento in rapporto al Pil.
Che a spingere nel senso dell’austerità siano interessi e non errori di calcolo è cosa nota e che non c’è bisogno qui di argomentare, le questioni che possono interessare sono invece altre. Prima di tutto se è vero che esistono in Europa falchi e colombe, settori più interessati all’austerità e settori più interessati allo sviluppo. In secondo luogo se è vero che le formazioni sociali egemoniche sono disposte a pagare anche il prezzo della depressione all’affermazione definitiva di un modello sociale di completa libertà nell’uso della forza lavoro, come sostiene Alberto Burgio in un editoriale del Manifesto del 20 agosto. Ora una tesi e l’altra non sono prive di fondamento. Le classi non hanno interessi omogenei, possono configgere al proprio interno e i loro principali settori premere in direzioni diverse. Così come è vero che l’austerità e le cosiddette riforme strutturali, chieste con insistenza dalla leadership europea, hanno una posta in gioco politica che non viene mai trascurata. Tuttavia un’altra considerazione è forse più importante. Non esistono solo settori del capitale i cui interessi divergono, esiste soprattutto un capitale che diverge da se stesso. Esso avrebbe bisogno nello stesso tempo di austerità e di crescita, cosa evidentemente impossibile ma che non smette di alimentare sia le rappresentazioni ideologiche, sia sforzi e tensioni nell’inseguimento del margine di sviluppo possibile. Non bisogna inoltre resuscitare l’immagine del capitalismo lungimirante e capace di pilotare sempre e comunque la crisi nella direzione che desidera.
Il rischio maggiore è in ultima analisi proprio l’opposto, cioè quello di un capitale capace di vincere la guerra contro l’avversario di classe, ma non di difendersi da se stesso e porre limiti alle proprie dinamiche distruttive. Una metafora degli effetti possibili è l’incendio fuori controllo in Medio Oriente. Lì, lo Stato in cui il capitalismo ha radici più robuste e profonde, ha combinato nel giro di alcuni decenni un disastro a cui non sembra capace di porre rimedio e che gli si ritorce contro.
Le pratiche di potere e i cinque sensi del lavoro salariato
Non si sa se Renzi dorma sonni tranquilli, ma c’è da dubitarne. Allo stato attuale delle cose gode soltanto del patrimonio del voto alle elezioni europee, cospicuo certo ma unico e solo. I dubbi sulla sua legittimità sono diffusi, è ostaggio della destra e inviso a molti in casa propria, deve fare i conti con la terza recessione in pochi anni, è schiacciato tra le pretese della leadership europea e l’esigenza di consenso in vista di scadenze elettorali prossime venture. Ricorre perciò alle tradizionali pratiche di potere. Prima pratica: sollevare una densa cortina fumogena dietro la quale capitalisti, lobbisti, tecnici e i pochi politici che sanno quel che fanno affilano le lame dei tagli. La cortina fumogena in questo caso è la flessibilità, cioè l’applicazione flessibile dei vincoli di bilancio, che in sé non risolve e non rilancia nulla ma servirebbe ad allentare per qualche mese il nodo alla gola del governo. Quanto alle lame si chiamano “riforme strutturali”, “risparmi” e “lotta ai privilegi” e la loro logica di fondo è invariabilmente la stessa. Le misure già approvate e quelle in cantiere, quelle confermate e quelle rinnegate, ma destinate a tornare, delineano infatti una prospettiva che non lascia dubbi. Sotto tiro c’è ancora ciò che resta del martoriato articolo 18. Qui le scuole di pensiero si dividono tra chi ne vuole l’abolizione tout court e chi invece ne propone la sospensione nei primi tre anni di lavoro. Con il rischio che i settori più deboli della forza lavoro non salgano mai il gradino tra terzo e quarto anno, vengano cioè licenziati prima. Si discute e si fanno ipotesi sull’entità dei tagli alle pensioni contributive: sopra i tremila euro? sopra i due mila euro? sopra i due mila lordi o sopra i due mila netti? La CGIL ha già protestato perché nel disegno di legge sulla pubblica amministrazione è prevista una deroga al divieto di trasferimento da un’unità produttiva a un’altra in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Un importante decreto prevede tra l’altro un’ulteriore deregolazione per l’edilizia privata, mentre il commissario alla spending review ha lavorato alla liquidazione delle società partecipate dalle amministrazioni dello Stato, che per altro come il Senato non verranno rimpiante da nessuno. Ancora una volta poi “dagli all’untore”, cioè calci nel sedere al privilegiato impiegato statale colpevole di godere ancora di qualche diritto e per cui si parla di blocco biennale della busta paga e ancora di blocco del turn over. Contro l’anemia da disoccupazione si prevede la terapia del salasso dell’ulteriore perdita di diritti attraverso una legge che elimina l’obbligo di indicare la causale nei contratti a termine. La scuola dovrebbe venir trasformata secondo criteri aziendali e gli insegnati collocati secondo tre fasce di stipendio e la sanità non sarà risparmiata perché tecnici esperti di lame e di coltelli hanno già deciso in quali delle sue parti sarà più conveniente infilarli.
Sarebbe insensato tuttavia affrontare l’argomento senza dire qualcosa sulla seconda pratica di potere. Mentre la prima (quella della cortina fumogena) riguarda la vista, la seconda riguarda l’udito. Seconda pratica di potere è infatti il silenzio, di cui il governo ha evidentemente deciso di rendersi complice, perché nulla dice e progetta sui famigerati Tpp, Ttip e Tisa, cioè sugli accordi internazionali voluti da una speculazione finanziaria più aggressiva che mai. Sui contenuti e sulle possibili conseguenze varrà la pena di tornare in articoli specifici, ma ricordare qualcosa può aiutare a immaginare le acque in cui nuoteremo. Nei paesi i cui governi aderiranno agli accordi ogni servizio sarà privatizzabile e sanità e istruzione diventeranno il principale oggetto degli appetiti dei capitali in cerca di profitti. Sarà obbligatorio investire le stesse risorse in pubblico e privato e proibito tornare indietro sulle privatizzazioni già fatte. Multinazionali e banche potranno denunciare e pretendere risarcimenti, quando riterranno che questa o quella legge di uno Stato danneggi i loro interessi. L’Europa dovrà essere vincolata alle regole americane sulle merci e verranno così meno le tutele sul lavoro, l’ambiente, l’energia, l’agricoltura e la sicurezza alimentare. La deregolamentazione finanziaria sarà ulteriormente incrementata e i governi potrebbero essere costretti ad approvare prodotti finanziari potenzialmente tossici.
Altre pratiche di potere riguardano l’odorato, il gusto e il tatto e se ne può parlare non per gioco, visto che gli esseri umani entrano in contatto con il mondo attraverso i cinque sensi. Per l’odorato la pratica consiste nella diffusione di sostanze aromatiche cancerogene perché il capitalismo emana odore di marcio. Sarebbe snobistico e astratto obiettare che il problema non è la corruzione di un sistema ma il sistema in sé, perché un sistema si accetta o si rifiuta per gli effetti che produce su tutti i piani. Il capitalismo è amaro e la pratica di potere può tradursi nella metafora di indorare la pillola, mentre al toccare con mano, a cui i subalterni sono prima o poi costretti, si pone rimedio cambiando il nome alle cose. Si chiama per esempio “messa in concorrenza della forza lavoro sul piano globale”, viene ribattezzata “lotta all’immigrazione clandestina”.
Quando riscaldare l’autunno non basta più
Di fronte alla prospettiva del blocco delle buste paga agli statali e ai tagli alle pensioni le confederazioni minacciano un autunno caldo, anzi “incandescente”. Anche in questo caso l’ironia è facile perché ciò che davvero sta sullo stomaco ai sindacati è altro, in modo particolare l’atteggiamento del governo nei confronti della concertazione e il recente dimezzamento dei permessi sindacali. Misura questa che da sola già la direbbe lunga sull’anima nera dell’équipe renziana. Naturalmente coloro a cui l’autunno piace caldo non possono che augurarsi la temperatura più alta possibile. Oggi tuttavia bisognerebbe cominciare a interrogarsi sulla nozione stessa di “autunno caldo” e chiedersi se le vampate ottobrine, anche quelle più credibili nelle intenzioni e legate all’iniziativa dei movimenti e del mondo antagonista, non servano più da assoluzione alla dispersione del resto dell’anno che a costruire davvero qualcosa.
Il problema di fronte all’attuale stato di cose è che servirebbero davvero un minimo di visione collettiva della realtà e qualche elemento di progetto. Inutile e dannoso evocare il mitico partito, i cui tempi e le cui modalità, anche se davvero fosse questa la soluzione, si collocherebbero comunque su altre dimensioni. E che può diventare anch’esso l’alibi per non agire nel presente con le possibilità effettive del presente. Ciò che già questo autunno servirebbe è facile a dirsi e difficile a farsi, ma dare un nome ai propositi potrebbe essere utile. Servirebbe un’unità non contaminata da aspirazioni a liste elettorali e fondazione di forze politiche; servirebbe un’informazione capace di funzionare da antidoto alle pratiche della cortina fumogena e del silenzio; servirebbe la solidarietà per evitare che lotte autorganizzate vadano nella direzione della guerra tra poveri, come la raccolta di firme contro l’inserimento nelle graduatorie di insegnanti del Sud; servirebbe infine la connessione stabile di lotte che serve a poco connettere solo se e quando l’autunno si riscalda e cadono le foglie.

sabato 23 agosto 2014

Il lavoro è la dignità. La lunga stagione di Novaceta

Questa è la storia di una fabbrica che aveva inventato un filo per tessiture miracoloso e faceva milioni di euro di utili. Anzi no, questa è la storia delle persone che lavoravano alla Novaceta. I padroni e i dirigenti hanno falsificato i libri contabili per poterla chiudere e vendere i terreni. Una storia di avidità e speculazioni spietate, di profitti legali e criminali, come quelli sull’amianto. Una storia come tante. Quel che sarebbe meno frequente è che le vittime, gli operai, tornano a essere protagonisti. Sono persone che fanno una lotta bellissima quanto invincibile, perché non chiude, non si ferma, è in continuo movimento. La lotta per il lavoro degli operai di Novaceta è diventata lotta per risarcire chi ha pagato il prezzo di una chiusura fraudolenta, poi per il controllo dal basso dello smaltimento delle macerie e dell’amianto. Adesso, quelli di Novaceta hanno occupato l’area limitrofa, di proprietà Unicredit, per sottrarla al degrado e restituirla alla città. La lotta per l’occupazione è diventata lotta per la vita. E per reinventarsi. Lo stabilimento è finito in macerie e i lavoratori hanno ritrovato la dignità
 Movimento popolare lavoro e dignità
Novaceta , erede storica di Snia Viscosa, sorge su di un’area di 220 mila metri quadrati. E’ stata una vera rivoluzione industriale del nostro territorio, il Magentino, nella Provincia di Milano. Una rivoluzione iniziata quasi cento anni fa. All’entusiasmo dei “pionieri” industriali, oggi si sono sostituiti il malaffare, l’egoismo di pochi, che ha generato la perdita del lavoro e l’abbandono dei siti industriali e una pesante situazione ambientale.
Sorta negli anni Cinquanta, Novaceta aveva inventato un processo produttivo del filo di acetato all’avanguardia. Un filo “miracoloso”, continuo e già colorato, che poteva essere utilizzato dalle tessiture così, tal quale, come  correva dalle filiere. Un processo industriale che non ha avuto concorrenti nel mondo fino al giorno in cui, “l’intrigo” ha deciso che avrebbe dovuto cessare.
Alla fine del 2003, in modo inspiegabile, la società che fatturava oltre 80 milioni di euro, viene rilevata da un gruppo industriale che opera in ambito immobiliare, tramite importanti società del gruppo stesso.
Già all’inizio del nuovo millennio si parlava di una nuova superstrada, la Milano-Cusago-Boffalora-Malpensa, di uno scalo ferroviario di Magenta più importante. L’area è vicina al centro cittadino ma anche a ridosso del Parco del Ticino, e nei primi anni del Duemila si parla già di una possibile EXPO milanese. La crisi era molto lontana, il Nord Italia tirava la corsa con un Pil superiore di una volta e mezzo a quello della Germania. Tutto questo confezionava una torta troppo grande e appetibile perché su quelle grandi aree ci fosse solo una Novaceta i cui utili non potevano essere sufficienti allo stomaco ingordo degli affiliati a vere e proprie associazioni a delinquere. Novaceta doveva chiudere.
L’agonia dura cinque anni, durante i quali si alternano alle proprietà e alle dirigenze figure inquietanti, molte delle quali coinvolte in bancarotte fraudolente e protagoniste di  pseudo crisi aziendali che avevano come conseguenza la perdita di migliaia di posti di lavoro.
A Magenta accade, però, un fatto nuovo: appena Novaceta ferma l’ultimo motore, una gran parte di lavoratori si organizza nel Comitato Magentino Dignità e Lavoro, che chiede alla Procura di Milano di indagare sugli eventi che hanno portato allo stop della fabbrica. Qualche mese fa la Procura ha emesso 33 avvisi di garanzia nei confronti degli amministratori e dirigenti che ” avrebbero distratto oltre 70 milioni di euro , falsificando i libri contabili…” causando così la chiusura dello stabilimento magentino. Una grande vittoria degli ex lavoratori che, per primi e in totale solitudine politica e sindacale, avevano denunciato il comportamento di una dirigenza sciagurata.
Intanto, il Comitato diventa un Movimento Popolare Dignità e Lavoro e accoglie altri lavoratori, soprattutto della zona, in lotta contro la chiusura degli stabilimenti.
Da questa lotta per il lavoroche si trasforma – dopo l’incriminazione dei dirigenti – in battaglia per il risarcimento dei lavoratori e delle lavoratrici vittime di una chiusura fraudolenta, con la costituzione in parte civile di gran parte degli ex dipendenti. C’è poi da battersi in difesa della salute dei cittadini di Magenta contro lo smaltimento fuori norma di tonnellate di amiantopresenti nello stabilimento. Un braccio di ferro si apre anche con le diverse amministrazioni comunali e gli enti che hanno chiuso gli occhi di fronte a questo ulteriore disastro. Il presidio davanti ai cancelli dura ormai da oltre quattro anni ma si è trasformato in controllo dal basso delle movimentazioni illegali delle macerie, con tanto di circostanziati filmati. Le operazioni di smaltimento vengono bloccate dal magistrato, impedendo che tutto finisca nelle discariche abusive magari controllate dalla criminalità organizzata. E anche questa vicenda è tuttora aperta.
Ma c’è dell’altro. Una vasta zona limitrofa allo stabilimento, sede del vecchio Cral aziendale e di un parco con importanti impianti sportivi (campo di calcio, pista di atletica, campo di tennis coperto, campo di bocce,…) è lasciata al degrado insieme allo stabilimentoL’area è di proprietà Unicredit come anche il sito produttivo. E’ stata storicamente gestita dal Consiglio di Fabbrica e utilizzata da tutti i cittadini, oggi è abbandonata e fonte di pericoli. Il Movimento chiede un intervento di recupero da parte dell’amministrazione comunaleche fa orecchie da mercante, troppo attenta alle valorizzazioni dei terreni nell’interesse dei soliti noti… Allora il Movimento raccoglie su una petizione popolare oltre 1.400 firme di cittadini e personalità politiche e della cultura di differenti tendenze per chiedere la riassegnazione dell’area ai lavoratori attraverso l’esproprio. I lavoratori si impegnano al recupero. Le promesse della giunta restano tali, ancora una volta nulla si muove.
Il Movimento passa al contrattacco e, forte del consenso dei cittadini, dopo Ferragosto occupa tutta l’area dell’ex Cral e ne comincia in proprio la bonifica per restituirla a una città. A Magenta mancano spazi ricreativi, mentre quelli esistenti – come quelli della Novaceta – vengono lasciati in rovina.Riuso, ripristino, riappropriazione. Come nella vicina RiMaflow di Trezzano sul Navigliofabbrica autogestita dai lavoratori da oltre un anno e mezzo, unita a Novaceta in tante battaglie politiche e sindacali comuni in questi anni e oggi collegata dalla partecipazione di molti militanti alla Rete Communia.Rimettere in funzione uno spazio di utilità sociale, praticare l’obiettivo e pretenderne il riconoscimento da parte della proprietà e dell’amministrazione comunale. Potrebbero saltar fuori anche alcuni posti di lavoro per gestire tutte le attività possibili. Con il metodo che fu delle lotte per il lavoro degli anni ’50 e con gli ‘scioperi alla rovescia’.
La lotta alla Novaceta non è finita.
Il blog del Movimento popolare dignità e lavoro

giovedì 21 agosto 2014

Promessa mantenuta !

Una firma dai Magentini per chiedere alle Istituzioni  di intervenire in merito alla possibilità di restituire un’area verde, adibita da sempre a parco pubblico, al territorio. L’area in questione è quella del CRAL  Novaceta, quest’ultimo sempre gestito dai lavoratori e dal 2009 lasciato, dalla proprietà, dopo la truffaldina fermata degli impianti e l’illegittimo licenziamento di centinaia di lavoratori, nel degrado più assoluto. Abbiamo raccolto una valanga di firme di cui, già protocollate, 1410 ! Consensi da tutte le componenti della nostra Comunità, senza alcuna distinzione di appartenenza politica , sindacale o di varie associazioni. Abbiamo promesso, quindi, che in Agosto non saremmo andati in ferie. Detto e fatto ! Il 20 agosto scorso, alle ore 9.00 abbiamo bussato alla porta di quel parco bellissimo, oggi in completo abbandono, e fatto clamoroso, quella porta ci è stata aperta consentendo l’ingresso ad una trentina di donne e uomini che avevano pensato di fare qualcosa di concreto ed utile per il territorio : pulire quel parco e metterlo in sicurezza e, se aiutati dall’amministrazione comunale e dalle istituzioni, avere la possibilità di restituirlo, come richiesto  da un enorme consenso popolare, all’utilità ed all’uso dei Cittadini di tutto il territorio magentino.

Un lavoro enorme ci attende, ma abbiamo deciso di riprendere ciò che era già della Comunità. Abbiamo deciso di sottrarre ad ulteriori speculazioni quell’area verde che era e che potrebbe diventare ancora, luogo di aggregazione e di svago per donne ed uomini, per bambini , per anziani.

Oggi non ci bastano più quelle 1400 firme, vogliamo che tutto il territorio si senta protagonista di quest’azione sociale e dedicata al bene comune. Attendiamo i Magentini al Parco Ri-creativo di viale Piemonte per firmare la nostra petizione e prenotarsi “un posto in prima fila” in uno spazio verde sede di svago e di sicura aggregazione sociale.

MPDL








mercoledì 6 agosto 2014

Salvare l’economia “ a sua insaputa “. Consiglio pratico su come intervenire !


Dunque, le “renziane macchiette” , dopo le “berlusconiane bourlesques”, sono finalmente certificate. Senza fare l’elenco delle negatività, basta ricordare il  nuovo record  negativo del debito pubblico, il nuovo record negativo per la disoccupazione, ed il nuovo record negativo su ciò che, invece, Mr. Bean aveva giurato: la crescita ( in termini di PIL ) . Aveva stragiurato, e deriso i “gufi”, per un aumento del 1,2 %, poi, rivedendo i conti, ridotto allo 0,8%, poi, perfezionandoli ancora, allo 0,3% ed in ultimo, da dati ufficiali : siamo nuovamente ( o ancora ) in recessione.
Ma ciò che fa ancora più paura è che Mr. Bean, da vero comico, continua a dire che l’Italia sta meglio di come ci viene presentata, ed allora mi tornano in mente le dichiarazioni di quell’altro, del pregiudicato, che quando governava, e rendeva squallidamente ridicolo il nostro Paese, dichiarava che “ i ristoranti sono pieni, ed agli aeroporti c’è la coda di chi parte in vacanza “ !  
Gli organi ufficiali ( Confcommercio ) parla di effetto zero ricavato dai famosi 80 euro, e Mr. Bean dice che non è vero, anche perché la sua fedelissima,  Picierno ( di Demitiana scuola ) , continua a fare la spesa per l’intera propria famiglia per ben due settimane !
Previsioni : mancano all’appello oltre 20 miliardi di euro, che qualcuno dovrà tirare fuori. A conti fatti, significa che gli 11 milioni di Italiani che hanno preso gli 80 euro ( al momento per due mesi ), insieme agli altri 15 milioni di pensionati ( che non hanno preso niente ) dovranno restituire 160 euro al mese per l’intero prossimo anno ( ciò, ovviamente, mascherate da tasse sublimate e condite con salse locali - a zero chilometri - , ed europee ).
Ieri sera, vedevo per l’ennesima volta il film “la banda degli onesti“ con un immenso Totò ed uno staordinario Peppino De Filippo. Vi ricordate la trama : tre persone , in evidente difficoltà economiche, grazie al ritrovamento di clichè originali della Zecca di Stato, decidono di stampare danaro, che non avrebbe potuto definirsi “falso” e che, tutto sommato, la stamperia poteva considerarsi come una succursale della stessa Zecca.  Ma la loro onestà “endemica” fa si che non riusciranno a spacciare nemmeno una banconota! Dalla visione del film, mi è venuta un’idea geniale : perché Mr. Bean ( a sua “pubblica” insaputa ) non fa stampare banconote “vere”, tramite copie di clichè della Zecca di Stato, da una tipografia “clandestina” ( sempre a sua insaputa ), per importi pari a quanto ha deciso di sottrarre a lavoratori e pensionati,  e poi ( ancora a sua insaputa ) riciclare le banconote in tutta  Europa e spenderle in Italia ( mettendo in moto l’economia ! ) . Si tratterebbe , in effetti, di una cifra minima ( una ventina di miliardi diluita in Europa ) a fronte, ad esempio, degli oltri cento miliardi di euro che le organizzazioni malavitose riciclano in un anno nella sola Italia ( con il placet, e spesso la complicità, degli stessi politici ). Non dovrebbe essere difficile visto la conoscenza e l’esperienza, in “economia fraudolenta”  accumulata dai nostri politici e dirigenti negli ultimi decenni. Farebbero, in effetti, le cose che sanno fare meglio : imbrogliare, e potrebbero lasciare liberi gli italiani di votare al più presto e scegliere partiti e candidati non di larghe intese ma di giuste verità e rispettosi della Costituzione esistente.
Pensaci Mr. Bean, anche perché questa volta, negli incontri segreti che continui a fare, potresti ricevere, visto la notevole esperienza del tuo socio, solo indicazioni “sicure” ed efficaci !

M. De Luca