sabato 20 aprile 2013

Ri-costruire, non ricomporre una sinistra che non c’è più !


di Gigi Malabarba, Tatiana Montella, Piero Maestri ( 17.04.2013 ) 

La sinistra di classe, anticapitalista e non, si trova di fronte al fallimento ereditato dagli errori degli ultimi decenni. Quello che sta accadendo è un sommovimento enorme, evidenziato dal voto dello scorso febbraio, ma che affonda nella storia più o meno recente. La scomparsa dalla scena politica di dirigenti come Achille Occhetto o Fausto Bertinotti si rivela oggi, solo come l'avvisaglia di una crisi più profonda. E' la sinistra italiana, in quanto tale, che arriva all'ultimo redde rationem. Lo scontro tra Bersani e Renzi ne è l'indicatore e tentativi come quello del ministro Fabrizio Barca, dicono che rimescolamenti e “ripartenze” sono ancora in programma.
Quando abbiamo parlato di “fine del movimento operaio” così come si è costruito nel Novecento, non credevamo che i fatti ci dessero così facilmente ragione. Se, poi, si sposta lo sguardo sulle convulsioni del sindacato concertativo, e non, ci si accorge della portata del terremoto politico e sociale cui siamo messi di fronte.
Il fallimento della sinistra italiana è clamoroso. Tutta la linea delle “compatibilità” realizzata per lo meno dal 1976 in avanti, ha prodotto un arretramento dopo l'altro di cui hanno pagato il prezzo anche le posizioni più radicali. Lo sfarinamento politico si è trascinato dietro, un po' alla volta, lo scollamento da qualsiasi base sociale. Il radicamento in luoghi significativi dell'appartenenza di classe è diventato un ricordo. Questa cesura ha dapprima riguardato la sinistra cosiddetta radicale, Rifondazione per intenderci, ma oggi riguarda lo stesso Pd e il suo addentellato sindacale.

In questa situazione ricominciare richiede un misto di umiltà e ambizione. Una “lenta impazienza”. Occorre infatti ricominciare dalle fondamenta, riedificare un processo di alfabetizzazione politica, costruire identità fondate sull'etimologia della trasformazione. Abbiamo definito questa impostazione un ritorno alla Prima Internazionale, agli albori del movimento operaio quando la costruzione di “istituzioni” proprie e autodeterminate del movimento cercavano di incrociare il miglior pensiero marxista. Oggi non ci sono entrambi. Per questo siamo chiamati ad affrontare una dura fase di ricostruzione.
La realizzazione di esperienze come Occupy Maflow a Milano o Communia a Roma, tra le altre, indica, sia pure parzialmente, questa volontà. La riappropriazione di spazi non solo per contrastare la crisi o ribadire il primato della socialità sulla privatizzazione ma anche per riproporre il tema del mutuo soccorso, dell'autogestione, di una prospettiva politica ed economica “fuori dal mercato”, capace di contrapporsi al moderno capitalismo.
Sono tasselli che puntano a una nuova soggettività all'altezza del tempo futuro. Una nuova soggettività non si dà in termini consolatori e nostalgici, o semplicemente ribadendo le certezze del passato, ma solo innestandola nel tempo presente. La sinistra che verrà potrà sorgere solo da un lento, e significativo, accumulo di esperienze come queste o a esse analoghe.
In questi giorni si sono moltiplicati appelli, incontri, prese di posizione che si pongono esplicitamente l'obiettivo di «riaggregare» una sinistra frammentata (sinistra che, ad esempio nell'articolo di Alberto Burgio, sul manifesto del 16 aprile, arriverebbe a comprendere lo stesso Pd). Pur con il rispetto per lo sforzo di discussione che viene proposto da alcuni di questi documenti - come nel caso della lettera aperta della direzione nazionale del Prc o dell'appello promosso da un'aggregazione come il NoDebito - non ci convincono percorsi di «ricostruzione» di un soggetto politico sulla base di astratte alleanze tra forze o soggettività politico-sindacali che non vanno oltre l'immaginario di una impossibile "Syriza italiana" o che pensano sia sufficiente trasferire una pratica sindacale - che quanto meno dovrebbe essere profondamente ripensata - in ambito politico. 
Siamo convinti che lo schema tradizionale secondo il quale, prima si ricostruire un grumo politico-ideologico e dopo ci si cimenta con le lotte, non ci faccia fare grandi passi avanti. Quello che ci interessa è invece aprire nuovi spazi alle forme di politicizzazione, oggi necessariamente ibride, a volte ambigue o collocate su percorsi contraddittori (non ci insegna qualcosa il successo grillino?). Per questo imbocchiamo un’altra strada. Ci interessano campagne mirate in grado di produrre senso e mobilitazione. 

Vogliamo, comunque, organizzare le resistenze e l'opposizione alle politiche di austerità. In questa direzione non serve però un astratto “fronte” dei soggetti di opposizione, troppo spesso limitati ai ceti dirigenti di quei soggetti, ma una pratica politica allargata, coalizioni multiple, “forum” tematici (come quello nato sabato scorso “per una nuova finanza pubblica e sociale”), esperienze sociali, sapendo che il collegamento, la “rete” e l’unità d’azione rimangono comunque beni preziosi a patto che siano attraversati da contenuti e programmi condivisi e producano campagne, conflitti, vertenze.
Oggi serve sicuramente una mobilitazione comune contro le politiche di austerità e la «lotta di classe dall'alto». Un passo avanti in questa direzione potranno essere la manifestazione del 18 maggio indetta dalla Fiom, e prima di essa la MayDay milanese che affronterà il nesso tra debito - distruzione territoriale - precarietà, a partire dal No a Expo 2015, l'ennesimo inutile grande evento deleterio per le finanze pubbliche e i destini del territorio.
Saranno poi le sperimentazioni di una nuova politica a permettere la nascita di un nuovo soggetto a sinistra, un soggetto che per noi dovrà essere anticapitalista e alternativo a qualsiasi alleanza con il centrosinistra ed alla rappresentanza puramente istituzionale. Ma i tempi di questa rinascita non sono oggi definibili. La lenta impazienza, appunto.
Viviamo un'epoca in cui i tempi della politica sono usciti " dai propri cardini" e la situazione si fa interessante.

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