domenica 1 marzo 2015

Piazze da replicare e rendere di nuovo le vere protagoniste dello scenario politico italiano.

Prendiamo a prestito, da Communianet.org, un articolo pubblicato oggi. Communia Roma puntualizza i numeri, la cronaca, le sensazioni di quanto avvenuto ieri e sottolinea  la necessità di riprenderci le piazze. Abbiamo cambiato solo il titolo all'articolo, vogliamo chiamarlo "Piazze da replicare ", piazze dove è indispensabile difendere i valori universali, parlare con la gente,  coinvolgere le periferie, coinvolgere le associazioni, i movimenti, dare voce a tutte ed a tutti, contrastare un percorso in atto di cancellazione dei diritti e mortificazione della Democrazia.
Buona Lettura !
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“Ma quanti sono a Piazza del Popolo?” “Un terzo dei comunisti”. I comunisti della conversazione fra i dirigenti di piazza della polizia saremmo noi, quelli del corteo MaiConSalvini, piazza del Popolo invece lo scenario del battesimo del fronte nazionale italiano di Lega Nord e Casapound.
La misura della giornata del 28 febbraio sta nelle cifre, vera testimonianza del flop salvinesco e del successo della mobilitazione antileghista della città di Roma. Ma non solo.
L’enorme differenza di numeri (al di là delle battaglie mediatiche… poco più di i 5.000 veri a piazza del Popolo e oltre i 20.000 veri in corteo) è solo una delle due facce della splendida vittoria di piazza della campagna MaiConSalvini.
Raramente, quasi mai, uno striscione (quello di apertura, realizzato da Michele Zerocalcare che, per la cronaca, il supporto a queste mobilitazioni lo dà da anni) è stato tanto azzeccato. Alzando lo sguardo sopra l’immagine del cordone colorato e determinato disegnato sopra lo striscione, la scena si ripeteva per centinaia e centinaia di metri. Una composizione larga quella del corteo, rappresentativa di una Roma ancora Città Aperta, una composizione che sarebbe stucchevole e riduttivo riportare a un elenco (quasi a sommarli) di soggetti sociali. Una composizione determinata e radicale, portatrice di contenuti (l’antirazzismo, il rifiuto dell’austerità, l’opposizione a questo governo insieme alle sue finte alternative) finalmente non soltanto patrimonio di avanguardie militanti ma patrimonio collettivo.
Una composizione e una mobilitazione radicale nei contenuti e nelle pratiche, che all’estetica del conflitto ha sostituito il conflitto dei contenuti, la riproducibilità d’idee e pratiche d’opposizione al teatrino politico dei due Mattei.
Idee e pratiche radicali che finalmente hanno potuto giocarsi (almeno per queste settimane) la sfida dell’egemonia contro le pulsioni razziste e xenofobe cavalcate dai fascio-leghisti, ma aperte dalle mille contraddizioni sociali della crisi di cui la Lega è corresponsabile.
Per una volta Salvini ha avuto un contraddittorio. Il nemico costruito ad arte per Renzi, abituato a godere di spazi comunicativi amplissimi, con contraddittori inesistenti, e raramente disturbato da giornalisti, per una volta non ha parlato da solo. Sentirlo quasi giustificarsi dal palco per la differenza di numeri (“i centri sociali hanno tentato di sabotarci in tutti i modi”) basta a dimostrarlo.
Certo, una parte gli stessi canali comunicativi che lo dipingono come la nuova opposizione (dimenticando che si parla di un personaggio abituato a sedere su almeno due poltrone istituzionali contemporaneamente, che nella vita ha solo fatto il funzionario del partito più vecchio che siede in parlamento) ha deciso di ignorare, o dare un risalto minimo, alla portata del confronto fra 20-30.000 partecipanti a un corteo cittadino “autoconvocato” e le poche migliaia portate da fuori con i pullman sponsorizzati da un ex partito governo.
Ma i riflettori di cui gode Salvini hanno ragioni di opportunità politica (inerenti ai presunti interessi del Pd che ha deciso di giocare a un gioco pericoloso), e se per una volta non hanno potuto parlare solo si lui e delle sue retoriche il merito è tutto del corteo e della campagna MaiConSalvini.
Lo abbiamo detto nelle lunghe settimane di costruzione del 28F: per i promotori della mobilitazione, per chi ogni giorno si sporca le mani nei quartieri, nelle periferie, nelle scuole e nelle università come sui posti di lavoro, sarebbe stato facile, troppo facile ridurre la mobilitazione antileghista all’espressione del nostro personalissimo antagonismo contro Salvini e Casapound.
La sfida era mettere in campo pratiche conflittuali che potessero diventare patrimonio ampio collettivo, di quel pezzo di Roma (e non solo) che non ci sta a lasciare impuniti Salvini e i leghisti nel loro tentativo di ripulirsi faccia e curriculum dopo 9 anni di governo con Berlusconi, 9 anni di precarizzazione, diktat europei, privatizzazioni, leggi razziste e corruzione sistemica.
Una sfida vinta, stravinta, che ha dato il primo serio colpo al progetto di costruzione del fronte nazionale, scimmiottato dal modello francese della LePen, che la Lega vorrebbe costruire con gli squadristi di Casapound.
Non era scontato, ci speravamo, ma i dubbi erano tanti. Un percorso di costruzione non facile, in cui la priorità è stata tornare a parlarsi e ad assumere una prospettiva costruttiva e non competitiva fra soggetti militanti abituati troppe volte ad auto percepirsi come unico argine antirazzista e antiausterity della società. Dopo ieri abbiamo riscoperto che l’argine può diventare più grosso, alzarsi improvvisamente e imporsi sulle maree e su chi le cavalca.
La giornata di ieri ha dimostrato che l’opposizione alle politiche di austerità di Renzi passa per le piazze, piazze che non dobbiamo abbandonare, piazze da replicare e rendere di nuovo le vere protagoniste dello scenario politico italiano.
Si cantava in decine di migliaia ieri dal camion e sotto al colosseo…“Lo rifamo? Avoja!”

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